Dall’oro allo sfratto, quei post carriera da incubo in Australia

Copyright foto: robert shakespeare

C’è chi, come la tedesca Sandra Volker, ha messo all’asta le sue medaglie olimpiche per pagare i debiti. Ma l’Australia è il Paese che conta più casi di vecchie glorie acquatiche alle prese con problemi economici, psicologici o persino legali, soprattutto nel dopo ritiro. Doppio oro mondiale a Berlino 1978 e 'caso nazionale' quando rinunciò alle Olimpiadi di Mosca 1980, Tracey Wickham ha confessato alla tv nazionale di vivere ora il periodo più duro della sua vita. Nel 2010 scivolò sul pavimento di un albergo, cadendo sulla schiena e rompendosi parte della spina dorsale. Da allora, a malapena cammina, affrontando nel contempo episodi di violenza domestica, un divorzio, la morte della figlia per cancro, abusi di farmaci e questo mese potrebbe essere sfrattata da casa. Belinda Hocking è tornata a gareggiare, nella tappa di World Cup a Hong Kong, dopo una lunga pausa di riflessione. La dorsista aveva lasciato il nuoto per superare una crisi esistenziale, scioccata quando la manica del suo maglione prese accidentalmente fuoco su una candela “Era spaventoso pensare che una cosa così semplice potesse mettere fine alla mia carriera”. In un’autobiografia, l’ex ranista Leisel Jones confessa di aver sofferto di depressione in carriera, pensando anche al suicidio.

Ultimo caso in una generazione che incantò alle Olimpiadi di Sidney 2000, per poi affrontare l’abisso. Geoff Huegill fermato dalla polizia, insieme alla moglie, per possesso di droghe illegali. Grant Hackett in clinica per abuso di farmaci, tendenza diffusa in molti Paesi anglosassoni, ora tornato al nuoto d’alto livello. Ian Thorpe, ai problemi di alcolismo e depressione, univa la paura di rivelare la sua omosessualità. La depressione non ha risparmiato neppure i tuffatori. Matthew Mitcham lasciò temporaneamente i tuffi per un circo e dopo l’oro olimpico di Pechino 2008 affrontò problemi di droga. Tunnel in cui cadde anche Chantelle Michell, mai capace di liberarsi da ansie e overthinking.

Il ritiro, in particolare, è un momento delicato per la psiche dell’atleta e gli psicologi sportivi professionisti non hanno solo un ruolo di motivatori. Devono anche tutelarlo dagli effetti dello stress da agonismo e dalle ansie che prova affacciandosi al mondo del lavoro “E non è un problema solo dell’Australia, perché esistono centinaia di casi, meno ‘mediatici’, in ogni sport e Paese. Anche da noi dichiarò l’anno scorso a Swimbiz.it Diego Polani, psicologo Fin.

moscarella@swimbiz.it

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