Donne e cronometro, il nuoto agonistico un tabù?

Copyright foto: silvia pirchio

S'intitola “Fondamenti per allenare 201”, documento ufficiale di Usa Swimming. All'interno, l’allenatrice di college Kelsey E. Theriault ha rilevato, e contestato tramite una lettera pubblicata dal sito SwimSwam, diversi elementi di “Stereotipizzazione dei generi sessuali” nei giovani atleti. Ad esempio: le ragazze tenderebbero ad avvicinarsi allo sport in cerca dello spirito di gruppo e necessiterebbero di continui incoraggiamenti per rafforzarne la fiducia, i maschi per la voglia di competere “Capisco perfettamente le critiche mosse dall’allenatrice. Differenze d’approccio dipendono dal carattere e dalla cultura, non certo dal genere – commenta a Swimbiz Paolo Penso, formatore al Settore Istruzione Tecnica della Fin – e qui non si tratta di pareri, ma di fisiologia: fino allo sviluppo della pubertà, maschi e femmine sono soggetti assolutamente sovrapponibili”. Tra quei “Fondamenti”, si suggerisce anche di separare i due sessi per gruppi o corsie “Da noi si faceva, ma cinquant’anni fa! Ora, fino ai 12 anni, maschi e femmine giocano insieme a calcio, basket, volley… e così nel nuoto”. E tra iscritte e promosse al SIT, non mancano certo istruttrici e allenatrici; ma perché in Italia, attualmente, non se ne trovano nel nuoto di prima fascia? “Mantengo spesso i contatti con gli ex allievi e molte donne hanno abbandonato quel mondo, cercando migliori prospettive. Le trovo più concrete, mentre i maschi tendono a idealizzare il mestiere di allenare, a ‘innamorarsi’ del grande atleta. Per la stessa ragione, trovi più allenatrici tra i Master: si guadagna di più e l’impegno è meno gravoso”. Caratteristica tutta italiana “Quand’ero a Cuba, ad esempio, su cinque allenatori della nazionale due erano donne. E così la nutrizionista, il medico…”. Lo stesso Salnikov (c’era ancora l’URSS) tirava giù record su record allenato da una donna. Conferma Silvia Pirchio (foto), che dal 2012 allena ad Ängelholm, in Svezia “Per allenare in Italia, la donna fatica un po’ più ad acquistare credibilità; in Svezia, la parità sessuale è più sentita. Incide, forse, anche il senso della famiglia: un’allenatrice di alto livello non può ‘concedersi’ di stare in maternità. La motivazione principale, però, l’ha individuata Penso – non a caso, Silvia ha cercato ad Ängelholm una situazione contrattuale più stabile(leggi qui) – tuttavia non sono partita per ‘disperazione’, ma per lo stimolo di una nuova esperienza. Qui ho anche compiti manageriali, dal 2016 parte la costruzione di una nuova vasca da 25 m e da lì potremmo organizzare gare, dare spazio a collegiali nazionali”. Anche per gli Azzurri? “Perchè no? Ho messo radici, anche nel privato, ma stando all’estero ho imparato ad apprezzare i lati positivi dell’Italia, come la comunicatività, e mi sento più italiana di prima“.
 
moscarella@swimbiz.it
 
La Federazione Italiana Nuoto ha ritwittato l'articolo.

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